Il dibattito sulle pensioni continua, e le ultime novità arrivano da Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, e Antonietta Mundo, del Comitato Tecnico Scientifico Itinerari Previdenziali, che suggeriscono un nuovo modo per andare in pensione: introdurre una flessibilità in uscita dai 63/64 anni fino ai 72 anni, con penalizzazioni per chi sceglie di ritirarsi prima dei 67 anni; stabilire una pensione di vecchiaia dai 67 anni con almeno 25 anni di contributi, anziché i 20 attuali; e razionalizzare i pensionamenti per i lavori gravosi.
Cos’è la nuova pensione 67+25?
Che il sistema previdenziale italiano vada riformato non è un segreto.
E che si anche l’attuale governo Meloni stia lavorando a una possibile nuova riforma delle pensioni è un dato di fatto. Sono diversi metodi su come andare in pensione prima, tra quelle anticipate come Ape sociale e Opzione Donna e la proposta della Lega di Quota 41.
La combinazione 67+25 rappresenta un inasprimento dei requisiti per le pensioni di vecchiaia, che oggi si ottengono con la combinazione 67+20.
Per chi matura i requisiti minimi per la pensione di vecchiaia nel 2025, 5 anni di contributi in più possono essere determinanti, poiché possono escludere dalla pensione di vecchiaia molti lavoratori. Non si tratta di veri esodati, ma 5 anni in più di contributi sono tanti e per alcuni significa dover rimandare la pensione e restare al lavoro per altri 5 anni.
Oltre alla nuova pensione 67+25, si parla anche di una nuova fascia 64-72, che riguarda la cosiddetta flessibilità. Uscire prima dal lavoro accettando una pensione più bassa è il principio alla base della flessibilità in uscita.
Il suggerimento del Centro Studi propone una flessibilità a partire dai 64 anni fino ai 72 anni, con un taglio dell’assegno per chi esce prima dei 67 anni.
La proposta di Brambilla e Mundo era stata pubblicata il 25 giugno sulla rivista del Centro Studi: a distanza di 28 anni dalla riforma Dini, la soluzione potrebbe essere quella di tornare a una flessibilità in uscita con coefficienti di trasformazione dai 63/64 ai 72 anni e, contemporaneamente, innalzare il requisito di anzianità per la pensione di vecchiaia proponendo – per l’accesso con 67 anni – almeno 25 anni di contribuzione effettiva o un importo di pensione pari a 1,5 volte l’assegno sociale.
Secondo Brambilla e Mundo, di questa nuova riforma, “se ne avvantaggerebbero l’adeguatezza delle pensioni e, allo stesso tempo, si ridurrebbe la durata delle prestazioni che, nella più grande fase di invecchiamento della popolazione italiana, potrebbe mettere a rischio la sostenibilità del nostro sistema.
Sistema che, ricordiamo, è basato su un forte patto intergenerazionale già eluso con l’enorme debito pubblico”.
Premi per chi resta di più a lavorare e tagli per chi lascia prima.
C’è poi in campo un’altra ipotesi: alle penalizzazioni per chi lascia il lavoro prima, si aggiungono dei premi per chi resta al lavoro oltre i 67 anni; tutto questo per rendere la misura più sostenibile per le casse dello Stato. Misure di pensionamento anticipato senza tagli e favorevoli per la maggioranza dei lavoratori costerebbero troppo allo Stato. Lo stesso principio vale per la nuova pensione 67+25 con flessibilità tra i 64 e i 72 anni.
Come soluzione low cost, alla pensione a 67 anni con 25 anni di contributi o alle uscite a partire dai 64 anni, verrebbe anche imposto il solito limite dell’importo minimo della pensione. Per evitare che molti pensionati, pur di lasciare il lavoro, accettino un assegno basso che li renderebbe poveri in futuro, è necessario un vincolo. Per poter uscire con le versioni anticipate di pensionamento, l’importo della pensione non deve essere inferiore a 1.5 volte l’assegno sociale.
Questo era lo stesso vincolo che fino al 2023 riguardava i contributivi puri per le pensioni di vecchiaia. Un vincolo che il governo ha eliminato nell’ultima legge di Bilancio e che sarebbe necessario reinserire.
Di Macina Luca – Iscritto all’albo unico dei “Consulenti Finanziari – OFC – Regione Piemonte”