Una recente sentenza della Corte Costituzionale, ha chiarito aspetti controversi della Legge sul lavoro e dei suoi regolamenti attuativi. Qualche anno fa, la cosiddetta Legge sul Lavoro, che il Governo Renzi voleva attuare nel 2014, era un tema caldo.
Si trattava di una vera e propria riforma del lavoro, volta a introdurre una serie di riforme vantaggiose per facilitare l’incontro tra domanda e offerta e, ove possibile, favorire il lavoro formale. In questo articolo si intende parlare delle ultime novità giurisprudenziali in merito, provenienti direttamente dalla Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi su temi delicati come i contratti a tutele crescenti nelle PMI.
Ma prima di dare uno sguardo approfondito alle sentenze della Corte Costituzionale emesse quest’anno, facciamo rapidamente il punto della situazione: a marzo 2015 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 23, contenente disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato a tutele crescenti e attuativo della legge n. 183 del 2014. Quest’ultima non è altro che una nota legge sul lavoro e contiene una delega al Governo per la riforma del lavoro sotto vari aspetti.
Pertanto, le norme vigenti che interessano in questa sede ai fini della comprensione e della decisione consultiva, riguardano i lavoratori e le imprese. Tuttavia, analizziamo insieme perché la sentenza n. 44 della Corte Costituzionale è di fondamentale importanza sul tema dei diritti dei lavoratori e dei contratti a “tutele crescenti”. La sentenza in questione è stata pronunciata al termine del giudizio di legittimità costituzionaledell’articolo1, comma 3, del decreto n. 23 del 2015. Il procedimento è stato effettivamente avviato dalla Sezione Lavoro del Tribunale di Lecce attraverso un cerimoniale con ordinanza del 20 aprile 2023. Per inciso, tale iniziativa va letta nel contesto dei precedenti procedimenti in cui è emerso un profilo meritevole di revisione da parte di Concerta.
Infatti, come ha osservato la Corte, erano emerse questioni di legittimità costituzionale inerenti al rapporto tra alcune disposizioni in materia di diritto del lavoro e gli articoli 76 e 77, comma1, della Costituzione.
In particolare, ha sostenuto che i criteri di delega stabiliti dalla legge n.183 del 2014, articolo 1, comma 7, lettera c), violano l’articolo 76 della Costituzione e condannano la disciplina degli articoli del decreto legislativo del 2015.
Come detto, la legge è una cosiddetta legge sul lavoro, che contiene chiare e ampie deleghe al governo per la riforma del mercato del lavoro, non solo in materia di ammortizzatori sociali, servizi per l’impiego e politiche positive, ma anche in materia di attività ispettiva, tutela e coordinamento delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.
Secondo il Tribunale di Lecce, l’incarico era limitato ai “nuovi assunti”, cioè ai “giovani” assunti dopo la data di entrata in vigore del decreto attuativo n. 23 del 2015(7 marzo 2015), che sarebbero stati inadempienti.
Infatti, il nuovo regime si applicherà ai dipendenti assunti prima delle suddette date, ma solo in un secondo momento per le piccole imprese, che supereranno la soglia dei 15 dipendenti impiegati nel settore produttivo. Lo afferma chiaramente un comunicato stampa dell’Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte Costituzionale del 19 marzo 2024.
Ora, secondo la Corte Costituzionale, la questione di costituzionalità sollevata dalla Sezione Lavoro del Tribunale di Lecce, è da considerarsi infondata.
Ciò significa che l’applicazione del contratto “tutele crescenti” ai dipendenti già occupati nelle PMI il 7 marzo 2015 non è incostituzionale. Non si tratta di una data arbitraria, ma della data di entrata in vigore del decreto n. 23/2015 di attuazione del cosiddetto Jobs Act. Quanto appena affermato si applica anche ai casi in cui un’azienda superi il limite di 15 lavoratori impiegati nel settore produttivo a seguito di assunzioni a tempo indeterminato effettuate dopo la data di entrata in vigore del suddetto regolamento.
A ciò si fa riferimento sia nel comunicato di cui sopra, sia nella sentenza n. 44 della Corte Costituzionale. In sintesi, con questa sentenza, depositata presso la cancelleria della Corte il 19 marzo, la Consulta ha dichiarato che l’applicazione del contratto a tutele crescenti ai lavoratori già occupati nelle piccole e medie imprese non è incostituzionale. Anzi, è positiva per i lavoratori grazie alla tutela rafforzata.
Nella decisione n. 44, la Corte Costituzionale ha stabilito che la disciplina nei confronti dei dipendenti che già lavoravano il 7 marzo 2015, ma che all’epoca non avevano diritto alla tutela per il reintegro, era pienamente in linea con la legge n.183(legge sul lavoro).
Il motivo è l’assenza dei requisiti di assunzione previsti dall’articolo 18, commi 8 e 9, dello Statuto dei lavoratori”, spiega opportunamente un comunicato stampa del Dipartimento di Comunicazione e Stampa della Corte Costituzionale.
Di conseguenza, prosegue la Corte, si applica solo la tutela risarcitoria prevista dalla legge n. 604 del 1966, che contiene disposizioni sul licenziamento individuale. Non solo. La Corte Costituzionale ha osservato che il legislatore delegato poteva disciplinare anche lo status dei lavoratori delle piccole imprese, dove non è mantenuto il sistema di tutela del reinserimento sociale previsto dall’articolo 18, applicando i suoi poteri di integrazione del quadro normativo.
Il legislatore delegante aveva questo “margine di discrezionalità”, tenendo conto dell’equilibrio tra gli obiettivi della delega e la volontà del legislatore del diritto del lavoro. D’altra parte, la scelta operata dal decreto n. 23, ha rispettato la prospettiva di non far retrocedere la tutela reintegratoria per chi era già occupato al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina.
In sintesi, ciò che emerge dal quadro normativo del decreto legislativo del 2015 è che non c’è stato un cosiddetto arretramento sprezzante per i lavoratori in questione, in quanto la tutela prevista da questa legge era comunque più favorevole rispetto al regime della legge n. 604 del 1966, che si applicava ai lavoratori prima del superamento del “tetto” di occupati. Lo scopo del mandato è stato raggiunto, nel senso che se si fosse permesso di acquisire il nuovo regime di tutela previsto dall’articolo 18, si sarebbe trattato di una restrizione alla capacità del datore di lavoro di assumere nuovi dipendenti. E il legislatore delegato, promulgando la legge sull’occupazione, ha cercato di incoraggiare proprio tale occupazione.
Come si legge nel testo del suddetto comunicato stampa, il testo del decreto legislativo del 2015 è considerato costituzionalmente legittimo. Infatti, non essendoci alcuna violazione della Legge delega in merito, ai lavoratori delle piccole e medie imprese assunti prima dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo non si applica l’art. 18, ma lo Statuto dei lavoratori, ovvero di un sistema di tutela contro i licenziamenti individuali illegittimi, e prevedeva un contratto a tutele crescenti nel caso in cui il datore di lavoro avesse superato la soglia dimensionale di 15 lavoratori impiegati nel settore produttivo a seguito di assunzioni a tempo indeterminato effettuate dopo l’entrata in vigore della normativa. La Corte Costituzionale ha quindi dichiarato infondata la questione di costituzionalità sollevata dalla Sezione Lavoro del Tribunale di Lecce.
Di Macina Luca – Iscritto all’albo unico dei “Consulenti Finanziari – OFC – Regione Piemonte”