Il rapporto di lavoro subordinato può essere anche a tempo determinato, cioè con l’indicazione del termine entro cui cesserà il rapporto di lavoro.
Il contratto a tempo determinato è diventato negli ultimi anni uno strumento sempre di più frequente utilizzo, fino a costituire la modalità più adoperata dai datori di lavoro. Esso offre infatti il vantaggio della flessibilità, utile ai datori di lavoro soprattutto in alcune condizioni economiche difficili che il nostro paese ha dovuto subire, nonostante esso sia, nello stesso tempo, sottoposto a un costo maggiore.
La normativa sul contratto a termine è cambiata più volte nel corso degli ultimi anni; il Jobs act (2015), intendendo favorire l’occupazione negli anni di più profonda crisi, eliminava l’obbligo della causale. Successivamente il Decreto Dignità (2018) ne ha ristretto l’utilizzo per spingere le aziende verso forme contrattuali più stabili.
Quest’ultimo decreto, oltre a modificare la durata massima, ha reintrodotto l’indicazione della causalità per stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato superiore a i 12 mesi.
Con l’emanazione del nuovo Decreto Legge 48/2023 sono state introdotte ulteriori nuove causali, ossia:
a) esigenze temporanee e oggettive di sostituzione di altri lavoratori;
b) specifiche esigenze previste dai contratti collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle rappresentanze sindacali aziendali o dalla rappresentanza sindacale unitaria;
c) qualora la contrattazione collettiva non abbia disposto le specifiche casistiche, sono le parti che possono individuare esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva (in questo caso è consigliabile procedere con certificazione delle stesse presso una delle apposite commissioni).
In caso di stipulazione di un contratto a tempo determinato di durata superiore a 12 mesi, in assenza delle condizioni di causalità, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato.
Il datore di lavoro può assumere, con contratto di lavoro a tempo determinato, un numero di lavoratori non superiore al 20% del personale in forza al 1° Gennaio dell’anno di assunzione. Resta invariata la condizione per cui i datori di lavoro, con un numero di dipendenti inferiore a 5, possano assumere un’unità a tempo determinato. I limiti non si applicano:
- per le start up innovative;
- per la sostituzione di personale assente;
- per le attività stagionali;
- per gli spettacoli e/o programmi radiofonici o televisivi;
- per i lavoratori di età superiore a 50 anni.
Il decreto fa chiarezza anche sul tema delle proroghe e dei rinnovi. Per quanto riguarda le proroghe contrattuali, esse rimangono ammesse in numero non superiore a 4, nell’arco del limite di durata complessiva di 24 mesi.
Il rinnovo si concretizza nella riassunzione a termine del medesimo lavoratore, a patto che tra la fine del precedente contratto e l’inizio del nuovo rapporto trascorra un intervallo minimo di:
- 20 giorni, se il contratto scaduto aveva una durata superiore a 6 mesi;
- 10 giorni, per i contratti di durata pari o inferiore a 6 mesi.
Nel caso in cui l’intervallo minimo non venga rispettato, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. La disciplina dell’intervallo minimo non opera nei confronti dei lavoratori stagionali e nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi. Ad oggi restano valide le regole stabilite dal Decreto Dignità relative alla sottoscrizione di contratti a tempo determinato di durata superiore a 24 mesi, ma non oltre i 36 mesi complessivi, ferma restando la sussistenza delle ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Di Loprete Giovanna – Diplomata in “Perito Amministrativo-Economico Aziendale”