Dopo aver offerto ottimi rendimenti rispetto ai mercati tradizionali, dal 2012 i mercati emergenti hanno cominciato ad attraversare una fase ribassista. Eppure stiamo attraversando un periodo dove sempre più investitori, essendo alla ricerca di rendimenti elevati, difficilmente ottenibili altrimenti, stanno guardando con sempre maggiore interesse al comparto emergente. Perché questo avviene e da chi viene caldeggiata questa scelta?
Innanzitutto bisogna essere consapevoli che i mercati emergenti sono per loro definizione, dei mercati molto variabili e, sul breve termine, assolutamente non prevedibili. A questo si aggiunge quanto è accaduto post pandemia, ovvero che, oltre alle caratteristiche fin qui citate, si sono aggiunte ulteriori problematiche geopolitiche che ne hanno incrementato la situazione di incertezza. Possiamo dire che in questo momento storico i mercati emergenti è come se si trovassero tra l’incudine e il martello, perché da un lato negli ultimi anni hanno migliorato i propri bilanci e la propria posizione fiscale e quindi da un punto di vista macroeconomico sono più solidi, dall’altro comunque continuano a essere dipendenti dalle politiche monetarie e fiscali dei paesi occidentali.
Si potrebbe pensare, alla luce delle notizie degli ultimi mesi, che il mercato cinese e quindi i fondi che sono esposti, siano da evitare, ma per i gestori più importanti, non è così. Malgrado tutto, non dimentichiamoci che la Cina è la seconda economia del mondo, ha un Pil di 18 trilioni di dollari che, diciamo, regge bene il confronto con il Pil degli Stati Uniti che di trilioni ne ha circa 24. Quindi, non è un Paese che può essere ignorato, in special modo tra gli emergenti.
Anche perché ignorare la Cina non significa eliminarla dal portafoglio dei gestori e dei clienti. Essendo un colosso, anche altri Paesi come Taiwan, Sud Corea, Brasile, Australia, ed altri ancora, non sono esenti dal risentire delle conseguenze di quello che succede in Cina, per non parlare dei Paesi sviluppati.
Anzi, per gli analisti ci troviamo di fronte ad una opportunità storica per i gestori attivi sui mercati emergenti. Questa deriva dal fatto che negli ultimi anni gli investimenti passivi sono stati tantissimi, chiaramente sia nei mercati occidentali che nei mercati emergenti. Considerando che i mercati emergenti sono formati da più di venti Paesi, le possibilità di diversificazione all’interno di questo pezzo di mondo sono molto alte.
Come tali, soprattutto in un periodo in cui le valutazioni dei Paesi emergenti sono ai minimi da dieci anni, per gli investitori attivi in questo momento si prospettano ottime opportunità di investimento. In particolar modo, oltre alla Cina di cui abbiamo parlato prima, meritano un occhio di riguardo anche paesi come il Brasile, che sta attuando un taglio dei tassi e quindi una politica monetaria migliorativa, e il Sudafrica che ha delle prospettive nel medio/lungo periodo molto interessanti.
Anche perché sia il Sudafrica che il Brasile, che l’India, sono Paesi che comunque stanno mantenendo buoni rapporti sia con l’Occidente che con la Cina e quindi anche con il blocco dei paesi emergenti. Ecco perché valutare, nell’ottica di un investimento di medio/lungo periodo, una diversificazione del proprio portafoglio anche sui mercati emergenti, che siano obbligazionari e/o azionari, rappresenta una buona opportunità.
Vogliamo ricordare ai nostri lettori, che le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate, un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario, inoltre le informazioni contenute nell’articolo, non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.
Di Macina Luca – Iscritto all’albo unico dei “Consulenti Finanziari – OFC – Regione Piemonte”