Il vino è un prodotto che ha alle spalle una storia millenaria, ed in sé stesso, farlo è abbastanza semplice: dopo la raccolta, si provvede alla pressatura dell’uva, si lascia che il succo risultante fermenti, e alla fine che diventi vino. Ma, negli ultimi anni, ha iniziato a prendere piede fra i produttori l’attenzione alla terra che produce il vitigno. Quest’ultima deve essere trattata con cura al fine di custodirla per le generazioni future. Per soddisfare questo proposito, si è iniziato a parlare di sostenibilità.
Va da sé che tutti i produttori di vino, vorrebbero produrlo nel modo più sostenibile possibile. Quando si usa il termine “sostenibilità”, significa prendere in considerazione tre fattori strettamente legati fra loro: l’ambiente, la società e l’economia. Sebbene una definizione universalmente accettata su come lavorare la terra nel modo più sostenibile possibile non ci sia ancora, possiamo comunque suddividere la coltivazione della vite in tre distinte categorie:
Quella Biologica
Quella Biodinamica
Quella Sostenibile e Naturale
La viticoltura biologica viene regolamentata dalle severe normative dell’UE. Nel resto del mondo possiamo trovare paesi con normative più severe delle nostre, e altri paesi meno severi. Il vino approvato per la vendita all’interno dell’UE, si riconosce dal simbolo dell’ecofoglia verde apposta sull’etichetta. Potersi fregiare di questo imprimatur è tutt’altro che facile. Per essere approvati e riconosciuti come produttori biologici, gli enologi devono affrontare un percorso di certificazione della durata di 3 anni, che, fra l’altro, è decisamente costoso.
Prima di tutto la viticoltura biologica guarda al trattamento del terreno, e poi a quello della pianta. Questo perché, se il terreno è forte e sano, i vitigni saranno più resistenti alle malattie. Potendo usare solo fertilizzante naturale di origine animale e solfato di rame per difendere la pianta dalle malattie, l’enologo è consapevole che, passando alla produzione biologica, la sua resa diminuirà di circa il 10%.
Laddove si presentasse una mancanza di alcol nelle uve raccolte, viene consentita l’aggiunta di zucchero biologico o succo d’uva concentrato. La fermentazione viene effettuata con lievito naturale. L’utilizzo di solfiti come conservanti, può essere adottato, ma in quantità sensibilmente inferiore rispetto alla vinificazione tradizionale.
La viticultura biodinamica, oltre ad essere esclusivamente biologica, richiede all’enologo un ulteriore livello di complessità nella pratica vitivinicola. Pertanto, se un enologo non è certificato come biologico non può diventare biodinamico. La viticultura biodinamica viene controllata da diverse aziende, e fra queste la Demeter (da Demetra, la dea greca della terra coltivata) è fra le più importanti. L’adesivo Demeter sul vino, garantisce che è stato approvato come biodinamico. Alla fonte della filosofia biodinamica vi è la ferma convinzione che tutto ciò che c’è in natura sia connesso ad un livello più elevato, e che qualunque cosa l’uomo faccia, ha un profondo impatto su ciò che lo circonda. Di conseguenza, un viticoltore biodinamico, si prodiga nel creare un vigneto che sappia attivare le proprie difese naturali contro le malattie, l’umidità, ecc…. Questo scopo viene perseguito utilizzando preparati biodinamici naturali come fertilizzanti, e non coltivare il 10% del terreno dell’azienda vitivinicola, così che si crei una migliore biodiversità naturale.
La stessa fauna selvatica del campo aiuterà a tenere lontani gli insetti nocivi. Il vigneto, quando ha un terreno sano, produrrà radici sane e attive che trasmetteranno maggiore energia al vino. In questo modo, la biodinamica crede che i vini ottengano un maggiore gusto, tipico ed esclusivo del luogo in cui vengono coltivati.
La viticoltura sostenibile è francamente di difficile definizione. Dovrebbe includere la sostenibilità nella vigna, nella cantina, nei dintorni dei terreni coltivati, nei benefici per i dipendenti e, dal punto di vista economico, diventare un volano positivo per tutti coloro che circondano la cantina. Fra l’altro, non esiste un ente certificatore globale che indichi la corretta sostenibilità della produzione di un vino. Abbiamo, al momento, alcune associazioni a livello locale, quasi regionale, e alcune, invece, nazionali, che hanno imbastito una serie di normative da seguire.
Il problema del vino sostenibile, si snoda attraverso la considerazione delle esigenze precipue di ogni terreno. Ad esempio, in aree dove c’è molta acqua disponibile, il problema del riciclo dell’acqua non si pone, mentre in zone più aride, come la cantina provvede al riciclo dell’acqua, diventa un fattore fondamentale per stabilire la propria sostenibilità.
In questo momento, la Francia e la California sono fra le nazioni al mondo più impegnate nel creare un vademecum nazionale della sostenibilità. Hanno sviluppato certificazioni proprie, che iniziano ad imporsi sul panorama internazionale
Infine parliamo del vino naturale. Fondamentalmente, si tratta di un produttore che si sforza di avere il minimo impatto possibile sulla produzione del vino, partendo dalla vite fino all’imbottigliamento. Riduce al minimo indispensabile l’utilizzo di pesticidi, comunque biologici, non può in alcun modo “correggere” la parte alcolica del vino nemmeno con zuccheri grezzi, ed infine, non può usare nessun tipo di conservante. Questo rende il vino naturale più “instabile” e maggiormente adatto ad un rapido consumo.
In conclusione, è evidente che il vino può essere coltivato e prodotto in diversi modi. Indipendentemente dal percorso perseguito, ciò che è davvero importante, è che i produttori inizino a manifestare un forte rispetto per la natura. L’attenzione alla sostenibilità sta prendendo piede e, in futuro, osserveremo che anche i maggiori produttori di vino dovranno convertirsi a questo percorso virtuoso. A tutto beneficio dei consumatori attuali e futuri.
Di Macina Luca – Iscritto all’albo unico dei “Consulenti Finanziari – OFC – Regione Piemonte”